Sigaretta elettronica ferma in dogana? Rimandatela in Cina!
“Non possiamo più lavorare”. È la conclusione amara a cui arriva Daniele Di Franco, titolare di Svapiamo, negozio online di sigarette elettroniche. “L’ultimo ordine che mi doveva arrivare dalla Cina è rimasto bloccato alla Dogana, mi è stato detto che devo avere un deposito fiscale e devo garantire gli altri requisiti previsti dalla normativa”. E questo a seguito di una circolare diramata già a fine maggio dall’Aams, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, a tutti gli uffici regionali, in cui si spiega che l’ordinanza cautelare del Tar Lazio con cui erano state sospese l’imposta di consumo e l’apertura dei depositi fiscali si applica solo alle aziende che avevano proposto ricorso contro la famigerata legge 76/2013 e contro i Decreti Ministeriali che avevano dettato (con enorme ritardo rispetto a quanto previsto) le regole per regolare la commercializzazione di hardware e software. A tutti gli altri “si applica pienamente il regime normativo in questione”, afferma il documento citando il parere dell’Avvocatura Generale dello Stato, chiamata a dare un’interpretazione a questo momento di confusione normativa. E dalle parole si è passati ai fatti. La Dogana di Ciampino blocca i pacchi in arrivo dall’estero.
“Avevo fatto un ordine piccolo, intorno ai 400 dollari, ma a differenza di altre volte in cui mi è stato sufficiente dichiarare il contenuto su richiesta della Dogana, questa volta, a fine giugno, mi è arrivata una richiesta esplicita dallo spedizioniere”. Per sbloccare il pacchetto – “che conteneva poche cose, wick, drip e altri accessori, perché io non compro mai i liquidi in Cina”, dice Daniele – il corriere chiedeva espressamente la conferma di avere un deposito fiscale e la dichiarazione T1, per cauzioni e anticipi.
Per Daniele una doccia fredda. “Non per la merce in se stessa, ma perché in questo modo ci impediscono di lavorare. Sono anche iscritto ad un’associazione, ma nessuno mi aveva informato del problema”. La risposta al corriere non si è fatta attendere. Nel giro di mezz’ora Daniele risponde via mail con tre parole: “Rimandatela in Cina”. Più chiaro di così?
“È importante che anche gli altri operatori, con negozi online o fisici, sappiano quello che sta accadendo, per non perdere soldi e tempo”, dice l’imprenditore. Mentre sui forum infuria la polemica: “L’imposta di consumo non era stata sospesa?”, “E stesso dicasi per l’obbligo dei depositi fiscali”. “Come andremo a riprenderci dai clienti il 58,5% non applicato dall’inizio dell’anno?”.
Rispetto all’ultima domanda, l’Agenzia rassicura: nessuna sanzione per chi non ha applicato la super-tassa dal 1° gennaio. Ma le rassicurazioni finiscono qua.
Il documento e il parere dell’Avvocatura fanno leva sul fatto che anche le 5 aziende ricorrenti (che ricordiamo sono Flavourart, Smooke, Smart Evolution Trading e Arbi Group affiancate ad adiavandum da Federcontribuenti e Fiesel-Confesercenti) devono garantire il tributo con una fidejussione bancaria come deciso dal Consiglio di Stato dopo il ricorso del Mef. Le altre, in attesa di quanto accadrà, devono applicare subito tutta la legge alla lettera. Quella legge e quei decreti attuativi, bisogna ricordarlo, per i quali il Tribunale amministrativo del Lazio ha ammesso la questione di legittimità, rinviando tutto alla Corte Costituzionale. Istanza di legittimità costituzionale non infondata: vale a dire che i giudici amministrativi ammettono il sospetto che le norme anti-ecig siano in contrasto con la Costituzione e lo fanno accettando come motivazioni il fatto che le norme abbiano bloccato le imprese, si applichino indiscriminatamente anche ad accessori come caricabatterie e custodie, e siano discriminatorie rispetto alla libertà di cui godono le altre imprese europee del settore. Basti pensare quello che è stato appena sancito dalla Corte d’Appello di Parigi che ha respinto le istanze della Confederazione Nazionale dei Tabaccai Francesi (CNBF) con cui volevano stoppare un marchio di e-cig ed estendere al vaping la stessa regolamentazione delle sigarette tradizionali. Non si può fare, ha detto la giustizia amministrativa francese. E se un giorno anche la Corte Costituzionale dovesse bocciare il decreto Iva e Lavoro chi lo andrà a dire a Daniele che se fosse nato in Francia avrebbe potuto continuare a lavorare? E la chiamano Europa Unita…
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