Diciamo no all’equivalenza: “Questa non è una sigaretta”
C’è una frase di Zuckerberg, l’inventore di Facebook, diventata leggendaria. Nella contesa legale sulla paternità del social network contro i gemelli Winklewoss, i canottieri che volevano vedersi riconosciuti come inventori, la leggenda racconta che il plurimiliardario replicò così: “Se foste voi gli inventori di Facebook, avreste inventato Facebook”. Che la frase sia stata pronunciata o meno, la logica non fa comunque una piega. Chiedete al fruttivendolo se per lui arance e meloni sono uguali. Questo ragionamento con tutta evidenza sfugge ai tecnici dei Monopoli che con una rapidissima decisione della questione tassazione hanno raggiunto una quadra che sfugge ai laboratori scientifici di mezzo mondo.
Dal coefficiente del terrore a quello del piacere
Il tira e molla sulla tassazione delle sigarette elettroniche degli ultimi due anni sembra aver fatto sfuggire una questione semplice semplice. Per dirla con Zuckeberg: “Se la sigaretta elettronica fosse stata una sigaretta non sarebbe una sigaretta elettronica”. Ancora più facile: “La sigaretta elettronica non è una sigaretta”. Punto. Non è una sigaretta, ma nemmeno 5 sigarette, 10 sigarette, un pacchetto o una stecca. È quello che sfugge ai regolamentatori che hanno difficoltà a capire la diversità genetica dell’e-cig. Come dire che tutti i mezzi di trasporto sono uguali e quindi il codice della strada si può applicare senza fare troppe discussioni anche agli aereoplani oppure che se io mangio un chilo di insalata e uno salame alla fine metta su la stessa pancia.
Il problema è sempre all’origine e macchia questo perverso meccanismo di penalizzazione degli Ends. Bene hanno fatto la Liaf e Polosa a rimettere in gioco la questione del rischio e della sua riduzione. Il coefficiente non soltanto non può essere calibrato su una equivalenza, 1 millilitro di liquido con 5 sigarette convenzionali, ma andrebbe ridisegnato sui pericoli che un prodotto procura (rectius, per dirla con quelli che parlano bene, con i costi che la società deve assumersi per compensare un’attività onerosa sul fronte della salute pubblica). Quindi non basta sapere che se svapo 1 e fumerei 5 (ma quando mai?), ma serve sapere, conti alla mano, cosa accade in termini chimici, fisici, biologici e in ultima analisi medici se decido per mia volontà di svapare o di fumare come un turco? Non si tratta certo dell’unica ragione di esistenza di Monopoli e accise, ma la scelta di mettere il “bollino di Stato” a certi settori e su certi prodotti dovrebbe basarsi anche sulla quantificazione esatta dei costi/benefici del prodotto monopolizzato.
Sanno ai Monopoli che ogni liquido è diverso dall’altro, che ci sono caratteristiche fisiche che ne determinano una maggiore o minore “vaporizzabilità”, che da una elettronica all’altra cambiano potenze, performance, rese? Sanno che esistono varivolt, mod , metodi costruttivi diversi? E se le sanno, tutte queste cose, perché hanno scelto la strada più semplice?
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